Margherita Dametti
Margherita nasce nel 1980 a Milano. Conseguita la laurea in Arabo, nel 2004 inizia la carriera nella cooperazione internazionale, che la porta a vivere e viaggiare in diversi paesi di Medio Oriente e Africa: qui nasce la sua fotografia che, grazie a collaborazioni con riviste e siti di informazione, diventa un impegno sempre più importante. Formatasi presso Fondazione Forma e NABA, si specializza in reportage (Istituto Italiano di Fotografia) e fotografia partecipativa (Photovoice). Nel 2013 contribuisce a creare Il Maestro e Margherita Fotografia Etica e Sostenibile, progetto ispirato al business sociale, nel quale si dedica sia alla fotografia commerciale sia alla fotografia sociale, sviluppando progetti di reportage e di fotografia partecipativa, con particolare attenzione al tema migrazione. Dal 2017 è Global Programme Manager presso Lensational, impresa sociale che usa la fotografia per l’empowerment femminile nelle comunità più vulnerabili di Asia, Africa e Medio Oriente.
http://www.margheritadametti.com/
FORGOTTEN SYRIA
Negli ultimi decenni si è consolidata l’idea dell’esistenza di un nesso tra il cambiamento climatico, (esacerbato da uno sfruttamento insostenibile delle risorse naturali, spesso a svantaggio delle comunità più vulnerabili) e i conflitti.
Questo nesso è stato applicato anche al caso siriano: è la tesi sostenuta da Marwa Daoudy nel suo libro “The origin of the Syrian Conflict: climate change and human security” )cambridge University Press, marzo 2020).
Secondo questa logica, il cambiamento climatico sarebbe all’origine della siccità che ha duramente colpito la Siria tra il 2006 e il 2010, in particolare la parte orientale del paese: la siccità avrebbe causato il fallimento del settore agricolo, portando povertà e malcontento, culminati nella rivolta.
L’agricoltura (in particolare frumento e cotone), insieme all’allevamento, sono da sempre le principali attività di sostentamento nella regione orientale della Siria (Hassakeh, Qamishleh, Ras el-‘Ain); questa zona di confine era in passato estremamente ricca e fertile, con grande abbondanza di risorse idriche quali numerose sorgenti e il grande fiume Kabur, un affluente dell’Eufrate.
Quando ho visitato questa regione, nel novembre del 2007, la situazione era già molto deteriorata dal punto di vista ambientale ed economico: il paesaggio appariva desertico e desolante, pochi i campi coltivati, le sorgenti quasi completamente asciutte e il fiume Kabur era divenuto oramai poco più di un torrente. Il graduale impoverimento delle risorse idriche e lo sfruttamento insostenibile dei terreni hanno reso nel tempo la terra per lo più arida e incoltivabile. Il terreno, impoverito, è diventato, negli anni, farraginoso e salino: frane e cedimenti hanno causato enormi buche, visibili sia nei campi che nelle strade di città.
Alcuni fenomeni – come la diminuzione delle piogge – sono comuni a livello globale: ma altre – l’impoverimento delle falde acquifere, lo sfruttamento dei terreni con colture non adatte o pratiche di allevamento intensivo, sono strettamente legate al contesto locale. La regione orientale, abitata in prevalenza dalle comunità curde – da sempre discriminate dal governo – è stata nei decenni pesantemente sfruttata per la produzione agricola e poi abbandonata a sé stessa quando i risultati distruttivi di questo sfruttamento hanno reso le sue terre improduttive. Parlando con gli agricoltori della zona, nel 2007 era diffuso il malcontento per la mancanza di attenzione da parte del governo per i problemi che già da anni colpivano la popolazione di questa regione.
A causa del fallimento del settore agricolo (in alcune zone la produzione è diminuita dell’80%) molte persone sono state costrette ad emigrare, principalmente negli Stati Uniti e in Australia.
Questa immagini descrivono una situazione di estrema e diffusa povertà: il fiume Kabur, un tempo fonte di vita e di ricchezza, è ormai ridotto ad un misero torrente; delle sorgenti di acqua solforosa, che una volta fungevano anche da luogo di svago per la gente del luogo, non rimangono che delle profonde buche nel terreno dove l’acqua non è che un pallido ricordo. Delle fiorenti aziende agricole che sorgevano nella regione non rimangono che edifici abbandonati e fatiscenti, circondati da terreni allo stato brado e resti di quello che dovevano essere impianti di irrigazione.Profonde buche si aprono sotto gli occhi increduli della gente. Questo è quello che rimane della Mezzaluna Fertile in Siria.
DESAPARECIDOS, una vez más
Ero in Argentina quando nel 2016, a 40 anni dalla dittatura che fece 30.000 vittime, il governo Macrì annunciò che il numero di desaparecidos non arrivava a 7.000: un tentativo di cancellare la memoria, riportando le vittime all’invisibilità dalla quale erano uscite grazie alle Madri e Nonne di Plaza de Mayo.
Il suo attacco non si limita alla storia passata ma colpisce anche l’impegno politico di oggi. Gli attivisti, come Milagro Sala e Santiago Maldonado, nuovi desaparecidos, nuovi invisibili, sono incarcerati o uccisi.
Queste foto raccontano i desaparecidos di ieri e di oggi – i loro volti nelle immagini in manifestazione, i loro nomi su tombe e monumenti – e la società civile che lotta perché non siano dimenticati. Un’altra volta.